
Il 24 febbraio Vladimir Putin, presidente russo, ha attaccato l’Ucraina. L’attacco ha suscitato lo sdegno di tutta la comunità internazionale, europea e non.
Mentre il mondo diplomatico cerca una mediazione e ha iniziato con sanzioni economiche, molti Paesi UE (tra cui l’Italia) hanno acconsentito all’invio di armi a sostegno del presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj.
Anche il mondo sportivo sta rapidamente chiudendo le porte agli atleti russi, mentre i principali marchi internazionali presenti in territorio russo stanno chiudendo le loro filiali.
Anonymous, la rete internazionale di hacker, è riuscita a bloccare TV e siti ministeriali russi.
In questo grande fragore mediatico, colpisce il silenzio dei media russi. Katarina Tonkova, giornalista slovacca, in un lungo “thread” (discussione) su Twitter ne spiega il perché.
“Molti non lo sanno davvero. La Russia ha un sistema di propaganda di stato molto simile a quello dei governi comunisti che cercavano di tenere unita l’Unione Sovietica“.
Tonkova spiega come il regime di Putin stia sistematicamente e radicalmente imbavagliando i media indipendenti, controllandoli: ne consegue che la popolazione russa sta ricevendo informazioni false o, quanto meno, alterate. Tutto viene scritto senza alcun senso critico e senza contraddittorio.
Un cittadino non russo può chiedersi: perché accade? E’ importante capire che ciò non avviene per semplice paura, ma per impossibilità oggettiva: i media, quando non sono controllati direttamente dal Cremlino, sono controllati da oligarchi vicini a Putin, che ne condizionano i contenuti. In tal modo, il messaggio lanciato al cittadino comune russo è duplice: Putin è il salvatore della patria e, peggio ancora, non esistono alternative.
Da anni, infatti, il messaggio che passa è: l’Ucraina è in balia di fascisti che realizzano crimini contro la popolazione russa, mentre la NATO vuole allargarsi in Ucraina per controllare la Russia.
Tra l’altro, il regime russo non brilla per libertà di stampa: Wikipedia riporta che la Russia nel 2013 si è classificata al 148º posto su 179 paesi nell’indice della libertà di stampa di Reporters Without Borders. Inoltre, è pratica comune l’omicidio dei giornalisti ritenuti “scomodi”: ben 58 negli ultimi trent’anni e quasi la metà a firma Putin. È evidente la correlazione con il loro lavoro di giornalisti.
Tra i nomi che hanno destato maggiore scalpore:
2000: ucciso Igor Domnikov, direttore del quotidiano indipendente Novaya Gazeta.
2002: avvelenato il vicedirettore capo dello stesso giornale, Yuri Shekochichin. La sua colpa? Articoli sulla corruzione.
2006: Anna Politkovskaya, molto critica sul conflitto in Cecenia.
2009: Anastasia Baburova e Natalia Estemirova. Entrambe si occupavano di diritti umani.
Riguardo alla guerra in Ucraina, dopo il blocco di Facebook e Twitter, il 5 marzo giunge notizia delle ulteriori minacce ai giornalisti: arresto fino a 15 anni per chi usi parole come “guerra“, “invasione” e “offensiva” e, come riporta La Repubblica: “Bbc, Cbc, Cnn e Bloomberg hanno sospeso il lavoro di tutti i loro giornalisti e collaboratori in Russia per proteggerli da sanzioni penali”.
Anna Rita Canone
